10 Dicembre 2013
Prosegue il dibattito surreale sul native advertising, ovvero sull'ultima frontiera per risollevare le sorti economiche dei giornali: pubblicare articoli senza avvertire i lettori che sono stati sponsorizzati da una marca.
I dati, infatti, dimostrerebbero che la pubblicità funziona molto meglio quando il lettore pensa invece di leggere un articolo (e ci credo: la pubblicità è schifosa, e fa male alla pelle).
Le polemiche di natura deontologica e l'intervento della Federal Trade Commission per evitare frodi ai lettori, tuttavia, hanno generato una serie ancor più surreale di coming out, che dichiarano finalmente che quella deontologia non è mai stata praticata.
Ad esempio, Jack Shafer di Reuters ricorda come fin dall'800 i giornali pubblicassero su commissione i nomi delle marche all'interno degli articoli.
Ora, pensando in termini di pura utopia: l'informazione, come anche la cultura, è malgrado tutto un bene ancora desiderato in questo universo, tuttavia fatica duramente a ricevere un riconoscimento economico. La pubblicità, invece, è nella migliore delle ipotesi percepita come una forma di molestia in tutte le galassie, eppure sulla Terra è sulla pubblicità che si fanno i fatturati.
Vai a capire che cosa è andato storto, e dove, se con la cultura - o con l'informazione - non si mangia.
Pubblicità: il ‘’native ad’’ e le minacce della FTC americana | LSDI
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Pubblicità: il ‘’native ad’’ e le minacce della FTC americanaRedazione | 10 dicembre 2013 | Tag:FTC, nativ ad, PubblicitàMentre continuano ad accavallarsi notizie più o meno favorevoli al dilagare del native advertising (ne abbiamo già parlato qualche giorno fa qui), qualcuno cerca di analizzare co...
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