12 Aprile 2013
Nello scorso articolo ho parlato di come il motto “scrivi frasi brevi e parole brevi” non sempre sia vero, ma che anzi, se preso alla lettera, può condurre a distorcere il significato o a banalizzarlo. Per essere chiari e leggibili non servono regole tagliate con l'accetta, bensì un orientamento diverso, flessibile, liquido - per usare una parola alla moda - che permetta cioè di adattarsi alla forma dell'argomento e alle esigenze del lettore.
In questo articolo voglio approfondire il concetto di leggibilità, prendendo in considerazione i famosi indici per calcolare automaticamente questo parametro. Le domande a cui cercherò di rispondere sono: cosa rende un testo più scorrevole e più facile da leggere? Possiamo considerare la velocità di lettura in sé, prescindendo dalla chiarezza? E soprattutto, ha senso misurarla, oppure dovremmo ricorrere a un'attenzione maggiore verso i meccanismi che regolano il rapporto tra il testo, l'autore e il destinatario?
Con il termine leggibilità si intende la facilità con cui un testo viene letto. Qui non parlerò della leggibilità fisica (scelta del font, dimensioni carattere ecc.) bensì di quella linguistica, cioè come la struttura sintattica delle frasi e la scelta delle parole può facilitare o rendere difficile la lettura.
E qui è necessario operare altro distinguo, che costituisce a mio avviso il primo limite di questo concetto: quando parliamo di leggibilità di un testo non intendiamo la sua comprensibilità, che riguarda invece l'organizzazione del testo e la sua coerenza, come nota ad esempio Daniele Fortis. Tuttavia, prendiamo temporaneamente per valida questa distinzione (leggibilità/comprensibilità) e andiamo oltre.
L'equazione che identifica la leggibilità con frasi brevi e parole brevi nasce da calcoli probabilistici (le frasi brevi hanno più probabilità di avere una struttura sintattica lineare), e statistici (le parole di più ampio uso tendono ad essere brevi). Prendiamo per valido anche questo assunto, e proseguiamo.
Con il tempo è nata l'idea di creare delle formule per misurare questo parametro, che ovviamente devono essere adattate alla singola lingua. Per la lingua italiana esiste l'indice GULPEASE, realizzato nel 1988 dal Gruppo Universitario Linguistico Pedagogico dell'Università La Sapienza di Roma e dal linguista Tullio De Mauro. La formula è la seguente:
Possiamo calcolare l'indice GULPEASE di un testo anche attraverso delle applicazioni sul web (ad esempio in questo sito), che ci restituiscono un coefficiente numerico, che stabilisce - stando agli inventori – se il testo è facile da leggere:
per chi ha un'istruzione elementare (se superiore a 80);
per chi ha un'istruzione media (se superiore a 60)
per chi ha un'istruzione superiore (se superiore a 40).
Abbiamo accettato il presupposto che le frasi brevi corrispondano a sintassi lineari e che parole brevi siano più comuni di parole lunghe. Abbiamo anche accettato che la facilità di lettura possa essere separata dalla facilità di comprensione.
Accettando questo, possiamo anche accettare una formula di leggibilità che computi semplicemente la lunghezza delle frasi e la lunghezza delle parole, senza prendere in considerazione la grammatica, l'ordine di esposizione o la coerenza del discorso.
Il prezzo da pagare è che possiamo ottenere coefficienti di alta leggibilità per testi perfettamente insensati o a-grammaticali: ad esempio, una macedonia di parole come "gatto una mela canta il" (indice Gulpease 109) sarebbe più 'leggibile' di "il gatto camminava sul sentiero mentre scendeva la notte" (indice Gulpease 69: facile da leggere per chi ha un'istruzione media).
A questo punto, i due presupposti che abbiamo sottoscritto cominciano a non sembrare molto validi. Possibile che la scansione meccanica delle lettere e delle frasi sia davvero l'unico parametro che incide sulla lettura? Se la risposta fosse sì, dovremmo accettare che una favola di Gianni Rodari sia più scorrevole delle delle supercazzole del conte Lello Mascetti (basta fare una prova), ma a che cosa ci servirebbe allora?
Per fortuna, esiste anche un altro approccio, che però come spesso accade ha solo un difetto: non esistono al momento altri software per misurarlo che quelli del nostro intelletto.
Quando leggiamo, iniziamo fin dalla prima parola a formulare delle ipotesi, a cercare degli elementi chiave che ci permettano di comprendere cosa l'autore ci vuole dire (o, soprattutto nel web, se sta dicendo quello che stavamo cercando).
A livello puramente grammaticale, ci aspettiamo che ci sia qualcuno o qualcosa che compie un'azione, e per questo è molto importante per la fluidità di lettura che il soggetto sia in posizione evidente (preferibilmente all'inizio) e che il verbo si trovi nelle vicinanze. Di grande aiuto è che
Ma noi sappiamo che in fondo quello che leggiamo non sono frasi astratte, bensì testi che fanno parte di una relazione. Per questo, tutte le regole enunciate più sopra possono e anzi devono essere oltraggiate in favore della pertinenza con la situazione in cui il testo nasce e viene consumato, ad esempio:
Ma soprattutto, visto che di testi parliamo, per la scorrevolezza di lettura sono irrinunciabili due requisiti.
Avrei potuto elencare molti altri elementi di attenzione, ma questi sono i principali. Giunti a questo punto, siamo ancora convinti che i lettori siano delle macchinette computazionali che divorano lettere e frasi indipendentemente da ciò che capiscono? Considerato tutto questo, non possiamo valutare la facilità di lettura in sé e per sé, non dobbiamo cioè cercare la massima scorrevolezza e velocità in assoluto, ma il minimo tempo di lettura necessario perché il lettore capisca.
La facilità di lettura non può essere separata dal processo cognitivo di cui è parte. Sarebbe come se cercassimo di stabilire che qualcosa è commestibile in base alla facilità di essere masticato, prescindendo dalla gradevolezza al gusto e dalla possibilità da parte dell'organismo di metabolizzarlo.
Gli indici di leggibilità, in fondo, sono un altro dei piloti automatici mentali per evadere dalla situazione corrente, utili a fini statistici per ottenere informazioni di massima su enormi quantità di testi, ma che poco o nulla possono garantire sulla facilità di lettura – e di assimilazione – del nostro testo.
Visto dunque che dobbiamo scrivere e non far di conto, lasciamo dunque la matematica ai matematici, i calcoli delle probabilità agli statistici e ascoltiamo con la massima attenzione ciò che sta avvenendo tra il nostro testo e il lettore in cui ci immedesimiamo. E se poi siamo insicuri, non è meglio chiedere il parere a una persona in carne ed ossa che può darci un parere reale, invece che uno probabile?
Oggi pretendiamo di misurare tutto: c'è persino chi pretende di fare la conta della felicità nelle città italiane tramite Twitter: ne parlo in un articolo su Farsi leggere. Se in quel caso capitava a fagiolo a scena di Donnie Darko sulla linea della vita, Daniela Montieri di Un posto al copy mi fa notare che l'indice Gulpease le ricorda invece la seguente scena de L'attimo fuggente. La aggiungo qui, per rilevare come la mania di misurare anche l'immisurabile abbia origini lontane, e per ammonire come l'abuso dei numeri ci allontani in un certo senso dalla vita vera: