Overblog
Edit post Segui questo blog Administration + Create my blog
Mess Age

Il messaggio è il mezzo: blog di igiene mentale per attraversare indenni la nube tossica della comunicazione ai tempi del web e dei social media.

Multitasking, teste che esplodono, dottor Buddha scampaci tu!

Ovvero: credevo di lottare contro le macchine ribelli e invece il problema sono io. Il multitasking, la capacità di concentrarsi, la meditazione e il problema del "chi comanda qua dentro?"

Multitasking, teste che esplodono, dottor Buddha scampaci tu!

Questo accadde molto dopo che il signor Buddha calcò questa terra...

Che fine hanno fatto i Kafka che alle dieci del mattino siedono alla macchina da scrivere e in otto ore di totale assorbimento scrivono d'un fiato La condanna, riuscendo malapena a rianimare al termine le gambe semiparalizzate per l'eccessiva immobilità?

O i Kerouac, che in tre settimane di ininterrotto lavoro portano a termine On The Road scrivendo su un nastro di carta lungo centoventi piedi, per non dover nemmeno sottrarre tempo all'ispirazione cambiando foglio? O i Jobs e i Wozniak che in quattro giorni senza dormire - ed entrambi con la mononucleosi - producono il prototipo del videogioco Breakout per Atari?

Certo, questi episodi hanno il sapore dell'agiografia e - opinione personale di chi scrive - sono progressivamente meno credibili, tuttavia sono esempi di totale concentrazione che rientrano nel ventaglio delle possibilità umane.

Proprio un paio di giorni fa Tim Wu si domandava sul New Yorker se oggi per i Kafka, i Kerouac e i Wozniak il compito non sarebbe molto più arduo, sottoposti alla costante tentazione di sbirciare le email, lasciarsi ipnotizzare dal flusso di Twitter o intrappolarsi in una discussione su Facebook.

Oggi, infatti, per chi lavora con strumenti digitali, sembra definitivamente scomparsa l'epoca della concentrazione prolungata su una sola attività in favore di un multitasking che è diventato uno stile di vita. Un problema che, come ho spesso raccontato, nelle aziende porta a volte a decisioni drastiche, come interdire l'accesso ai social network, o come quelle di Atos o di Ferrari, di bandire le email interne.

Ma anche in questi casi estremi non risolve il problema, perché per essere produttivi e competitivi oggi bisogna anche essere connessi e multitasking. Un cane che si morde la coda, in un certo senso.

Multitasking, teste che esplodono, dottor Buddha scampaci tu!

L'articolo di Wu tuttavia è interessante in primo luogo perché racconta l'evoluzione del rapporto uomo-macchina e il capovolgimento della funzione originale del multitasking, che fu ideato negli anni '60 per suddividere la potenza di calcolo di un solo computer e servire più utenti. Questi ultimi avevano così la possibilità di utilizzare il proprio terminale come se fosse una macchina autonoma.

All'epoca non si immaginava ancora la diffusione dei personal computer e nemmeno che, con l'aumento della potenza di calcolo, il multitasking avrebbe assunto nei fatti la funzione opposta: quella di parcellizzare e, almeno nelle intenzioni, di aumentare la capacità di attenzione e di gestione del singolo utente su più processi contemporaneamente.

Nonostante le pie intenzioni, le ricerca citata da Wu dimostrerebbe che non è esattamente questo il modo migliore di sfruttare la nostra materia grigia.

Results showed that heavy media multitaskers are more susceptible to interference from irrelevant environmental stimuli and from irrelevant representations in memory.

E. Ophir, C. Nass, A. D. Wagner, "Cognitive control in media multitaskers"

È un caso che sul web le "teste che esplodono" siano diventate un meme?

Multitasking, teste che esplodono, dottor Buddha scampaci tu!

Entra il signor Buddha

Multitasking, teste che esplodono, dottor Buddha scampaci tu!

Ritengo qui doverosa una digressione, visto che Wu cita en passant il concetto di concentrazione su un punto della meditazione buddhista (intendendo probabilmente il termine 'buddhista' comprensivo di tutte le discipline meditative, che in realtà non sono soltanto orientali).

Una precisazione d'obbligo, perché questo concetto rischia spesso di creare equivoci - seppur in buona fede - quando passa sotto la lente delle scienze moderne, a causa delle radicali differenze di approccio e di scopi, come spesso ho constatato confrontandomi con psicologi e cognitivisti.

Differenze che non invalidano né l'uno né l'altro approccio, ma causano l'incapacità di cogliere l'uno i benefici dell'altro, come spesso accade quando i termini della questioni si assomigliano molto ma non sono gli stessi. E in questo caso farsi un'idea corretta di cosa sia la meditazione potrebbe aiutare notevolmente a comprendere la questione da un'altra prospettiva.

Innanzitutto, la scienza moderna si occupa di fornire delle spiegazioni ai fenomeni formulando ipotesi e convalidandole per via sperimentale; e realizza in seguito delle applicazioni pratiche attraverso la tecnologia, che di per sé non è né buona né cattiva. Non ha, cioè fini morali: serve, o dovrebbe servire a rendere più facile la vita (il condizionale è d'obbligo perché, come diceva Feynman, le scoperte scientifiche non ci arrivano con il libretto delle istruzioni: prescindono dagli usi e dagli abusi potenziali, ma soprattutto dagli effetti e dagli usi che sfuggono dalle intenzioni iniziali).

Le filosofie orientali, invece, hanno lo scopo di liberare l'uomo da una condizione indesiderata, nella fattispecie la sofferenza che ci accompagna (sì, lo so che ci sono i gattini, il mare da fotografare e da mostrare in bacheca con i piedini che spuntano ai bordi, ma il tempo passa, le mamme imbiancano, il corpo si rattrappisce e insomma tutte le cose finiscono - noi compresi - e arriva sempre il momento della tristezza, se non si è dotati di un robustissimo e ultrapersonale senso dell'umorismo). Le discipline ad esse associate sono sperimentali, ma in senso diverso rispetto alla sperimentazione scientifica: lo sono nel senso che ognuno le può esperire su di sé.

Ora, è interessante notare come all'epoca di Buddha - e ancor prima di lui - nessuno possedesse un iPhone o un personal computer, e quindi non fosse possibile controllare il proprio status di Facebook a ogni batter di ciglio.

Tuttavia, le descrizioni della mente ordinaria tramandate dalle letteratura filosofica orientale antica sono identiche a quelle della mente in multitasking osservata dagli studi dell'uomo moderno: un'ininterrotta cascata molto simile a una timeline ipertestuale, connessa contemporaneamente su tutti i canali, la cui osservazione spassionata dovrebbe farci esclamare, proprio come Wu: "Ma chi è che comanda qui?".

Registriamo quindi che sia gli studi cognitivi, sia le tradizioni orientali convengono su un punto: c'è qualcosa che non funziona per il verso giusto. Tuttavia c'è una differenza tra ciò che è lo stato naturale delle cose (a cui la meditazione intende riportare) e ciò che è normale, nel senso che di norma accade.

E qui giunge il ruolo della meditazione e l'addestramento alla concentrazione prolungata su un punto (che è una fase di un percorso che va ben oltre, ma questa è un'altra storia). Questa pratica è un mezzo potentissimo per 'deframmentare' le risorse mentali (e non solo quelle mentali, ma anche questa è un'altra storia). Mi si perdoni il linguaggio e metaforico e poco scientifico, ma all'epoca, oltre agli iPhone, non esistevano nemmeno gli elettroencefalogrammi.

Praticando con una certa costanza e senza mai scoraggiarsi, la mente cessa di scalpitare, i vortici della superficie si acquietano spontaneamente proprio perché cessiamo di fornire loro carburante. Per usare un'immagine ricorrente - l'acqua ritorna limpida lasciando trasparire il fondale: i problemi prendono la corretta distanza, scopriamo energie insospettate da dirigere e investire, visto che questa pratica raffina e allena l'esercizio della volontà.

La meditazione in questo senso è uno strumento molto più efficace di ogni soluzione tecnologica alternativa (di cui Wu fornisce alcuni esempi), che permetta di sterilizzare l'ambiente di lavoro dalle distrazioni, perché le distrazioni, fuori o dentro il computer, dipendono dalla mente che decide - o più spesso non decide - di seguirle.

Ci sarà sempre il gatto che attraversa la strada, la bolletta da pagare, un sospetto di corna dalla moglie o dal marito, il bambino che strilla nell'appartamento accanto: la questione non è sopprimere gli stimoli, bensì lasciare che entrino ed escano dal nostro campo percettivo senza turbare la nostra concentrazione (è facile diventare un Buddha vivendo da eremita, altrettanto facile sbuddharsi in un battibaleno scendendo al mercato, evento che peraltro è inevitabile come il Natale).

A questo punto, chi si ricorda ancora da dove siamo partiti potrebbe domandarsi: ma allora Kafka, Kerouac, Wozniak e Jobs erano... dei Buddha? Chi può dirlo. Tuttavia, se così fosse, non credo che li ricorderemmo soltanto per aver scritto qualche romanzo o per un videogioco.

Ma anche se fosse, non lo sarebbero diventati per la loro capacità di farsi assorbire da un compito solo. C'è infatti un però in tutto questo. Un grosso, grasso però su cui si rischia tutta la posta in gioco. Anzi, un grande però vuoto:

Multitasking, teste che esplodono, dottor Buddha scampaci tu!

La meditazione non ha uno scopo. La sua propulsione non deriva dal fiato sul collo di una deadline né dalla volontà di autoaffermarsi. È, posta nei termini utilitaristici moderni, totalmente priva di alcuna utilità pratica. Un controsenso: sedersi e concentrarsi non per raggiungere qualcosa, ma per essere già arrivati. Un completo capovolgimento della prospettiva centrifuga ordinaria verso il multitasking: anche quando i tempi stringono, anche quando il mondo esplode, sedersi. Non fare nulla.

Conclusioni, per "stringere"

Altro ci sarebbe da dire, ad esempio che tutti noi saremmo portati a immaginarci la concentrazione come il frutto di uno sforzo immane, a denti stretti e con le giugulari prossime all'esplosione. E invece - quasi a supplizio supplementare - la concentrazione meditativa richiede quale presupposto una condizione di rilassamento: ma andremmo veramente molto lontano.

Quindi, dati i presupposti, questa è la conclusione: siccome è naturale che nella mente sorgano più desideri contemporaneamente, e siccome assecondarli tutti è l'impulso più incline alla linea di minor resistenza, la tecnologia ci ha dato in fondo quello che più ci assomiglia: le scatolette luminose su cui continuiamo a gettare lo sguardo sono quindi multitasking proprio come noi. E come noi, non hanno un vero e proprio pilota.

Aldilà del calo di efficienza, il vero problema è che sotto questo aspetto non ci aiutano. Ma anche se ci liberassimo di ogni oggetto tecnologico che permetta di svolgere più di una funzione alla volta, non avremmo afferrato il problema alla radice. Non c'è nessun computer che "aggiusti la mente invece di romperla", che la "aiuti invece di ostacolarla" più di quanto la mente possa rompersi e ostacolarsi da sola. 

Posto che digiunare ogni tanto dalle tecnologie è salutare, forse non abbiamo bisogno di nuovi computer, abbiamo bisogno solo di qualche attimo di silenzio, di uno stop, di una ricarica vera, di riprendere in mano il volante dei questa pazza mente che crea e distrugge a ogni istante. 

Un ultima domanda: ma se la mente non può, come una mano, afferrare sé stessa, chi deve farsi carico di prenderne il controllo? 

Se rincorri due lepri allo stesso tempo, non ne catturerai nessuna (proverbio russo, e anche cinese)

Se rincorri due lepri allo stesso tempo, non ne catturerai nessuna (proverbio russo, e anche cinese)

Multitasking, teste che esplodono, dottor Buddha scampaci tu!
Condividi post
Repost0
Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post