La parola crisi

Crisi: è sulla bocca e nelle "penne" di tutti: perché non parlarne? Crisi dei mercati, crisi economica, finanziaria, crisi dei mutui. Di governo e di valori, crisi mondiale, universale, cosmica. C'è qualcosa di divino nell'Unità di Crisi, qualcosa di mistico in questo caderci il mondo addosso, in questa depressione condizionata ce n'è abbastanza per il lettino dell'analista, o per la razzia fai-da-te nell'armadietto dei medicinali.

Sapete che chiamare significa evocare, e visto come si usano solitamente le parole, cioè a vanvera....

Come farmaco, per grattare via la patina ansiogena che ricopre la parola, non trovo altro che rompere il guscio e andare alla radice. Da etimo.it estraggo:

crisi = lat. CRISIS dal gr. KRÌSIS, che tiene a KRÌNÕ separo, e fig. decido (...) Momento che separa una maniera di essere o una serie di fenomeni da altra differente, o anche Piega decisiva che prende un affare.

In origine l'accezione della parola è neutra: il punto di svolta a cui allude non è necessariamente verso il peggio. Così come la fortuna può essere anche avversa e un dramma non è per forza una tragedia.

Senza crisi non si risolve una malattia, e una crisi può risvegliare energie che nessuna crisi energetica può compromettere. Di fronte alla crisi si deprime solo chi è convinto di essere sempre stato sano, chi dà per scontato che il dopo potrà solo essere peggio del prima. Ma perché non pensare che sarà, e basta?

E' la parola stessa a suggerirci l'atteggiamento: critico. Aggettivo che, ci ricorda il De Mauro, è "relativo alla critica, alla facoltà di valutare, di giudicare, di esaminare". Magari cominceremo a dubitare, ad esempio, che il PIL non sia il temometro piantato nelle terga della parola benessere, o che precario sia la condizione anche di chi sta in un posto fisso.

Che la Piega sia con voi...

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