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Mess Age

Il messaggio è il mezzo: blog di igiene mentale per attraversare indenni la nube tossica della comunicazione ai tempi del web e dei social media.

Dalle stelle all'Infernet, come perdemmo lo spazio

Dalle stelle all'Infernet, come perdemmo lo spazio

Ci hanno promesso la vita nello spazio, automobili volanti e jet pack, ma tutto ciò che abbiamo ricevuto sono dei rettangoli tascabili contenenti tutto l'umano sapere. FAIL.

Jason Kottke

Che cosa ci è successo se fibrilliamo per le app e per gli occhialini di Google, che non riusciranno mai a portarci nello spazio 'là fuori' e a superdotarci realmente, come invece la tecnologia ci aveva promesso?

L'osservazione di Jason Kottke libera il campo da qualsiasi sospetto. Non è per luddismo o per ostilità all'innovazione che parliamo: è che questa innovazione non è abbastanza innovativa, ha deluso le aspettative. La credulità popolare e le nuove superstizioni complottiste sono la valvola di sfogo di questo fallimento. Come l'abuso di parole quali 'rivoluzionario' riferite a ogni nuovo gingillo digitale.

Dalle stelle all'Infernet, come perdemmo lo spazio

Nel secolo scorso la fantascienza e i programmi spaziali ci avevano assuefatti alla prospettiva di essere traslati su altri mondi. Poi, il motore di quel sogno ci è stato spento sotto il cofano, mentre la macchina in folle ha continuato a macinare strada.

Certo, abbiamo esplorato Marte e osservato Titano con moduli robotizzati, ma con la fine del programma Apollo le missioni con equipaggio umano non oltrepassarono più il confine dell'orbita terrestre (secondo alcuni, l'obiettivo degli USA era raggiunto con l'allunaggio: sfiancare economicamente l'URSS nella corsa allo spazio, e innescare suo declino).

Intanto lo spazio diventava cyberspazio, l'esplorazione attraverso le droghe oltre la percezione ordinaria pura intossicazione. La spiritualità importata dall'Oriente, un arcipelago di confortanti nicchie alternative per i più sotto la voce benessere. L'inner space e l'outer space scalzati dalla realtà virtuale e infine dalla realtà aumentata.

Zona plaid

Dalle stelle all'Infernet, come perdemmo lo spazio

Un tempo i viaggi interstellari erano simbolo o promessa concreta del superamento dei nostri limiti, naturale prosecuzione delle esplorazioni via mare e via terra. Erano le successive colonne d'Ercole. La tecnologia era allora arretrata e ingombrante, la potenza di calcolo imbarazzante, paragonata agli standard odierni accessibili nei supermercati.

Oggi invece disponiamo di oggetti high tech sofisticatissimi che usiamo soprattutto per superdotare ed esibire la nostra normalità: cerchiamo lavoro o la pizzeria più vicina, postiamo immagini di gattini o dei nostri piedi in spiaggia e commentiamo notizie farlocche che non abbiamo il tempo di verificare. Lavoriamo a distanza, conversiamo a distanza in multitasking, senza che venga richiesta la nostra presenza fisica.

No, non è esattamente la stessa cosa che smaterializzarsi e ricollocarsi nello spazio tempo. Non è il viaggio nell'iperspazio dell'Odissea di Kubrick. Non siamo nemmeno nella zona plaid di Balle Spaziali.

Nel frattempo abbiamo scoperto che lo spazio là fuori è terribilmente scomodo e inagibile, non possiamo concepire una simile privazione di qualsiasi sponda. Già lo sterminato mondo ipermentale di Internet, affollato di anonimi malintenzionati, ci fa tremare le ginocchia anche se non richiede di nemmeno di alzarci dalla sedia.

"La cosa è vuota, va avanti per sempre..."

La cosa è vuota, va avanti per sempre... Oh mio Dio, è pieno di stelle!

Arthur C. Clarke, 2001: Odissea nello spazio

Dalle stelle all'Infernet, come perdemmo lo spazio

La tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia, asseriva Arthur C. Clarke, pensando probabilmente al monolite spaziale che aveva strutturato l'intelligenza dei nostri progenitori. La tecnologia di oggi, invece, è una protesi della banalità di ogni giorno.

La tecnologia di oggi inonda i vuoti, iperconnette, porta nella zona plaid la velocità di trasmissione dei dati, ben oltre la nostra capacità di comprensione e di relazione. Non è però la promessa mantenuta: è la graduale perdita di contatto con la realtà che vorremmo aumentare. Perché?

Abbiamo espunto gradualmente l'idea stessa di spazio vuoto, fosse anche un attimo di silenzio o di solitudine libero da scorie mentali e dal controllo dello status. Eppure quello spazio, anche se in apparenza antitetico alla vita, ne è il supporto all'esistenza, come il silenzio alla parola.

Non riusciamo più nemmeno a concepire che lo spazio possa essere invece vivo. Idea che fu ad esempio di C.S. Lewis nella trilogia spaziale iniziata con Lontano dal pianeta silenzioso: non a caso, là, non erano i mondi lontani ad essere ostili, bensì la Terra tagliata fuori, ottusa, disconnessa dalla comunità interplanetaria.

Non è lo spazio a essere lontano. Siamo noi.

Questo immortale sketch dei Monty Python spiega tutto.

Monty Python, Il senso della vita: l'anima non si sviluppa perché gli uomini vengono distratti, ovvero gli uomini non portano abbastanza cappelli.

Approfondimenti

...e altri approfondimenti segnalati dai lettori...

È l'anno duemila e non vedo nessuna auto volante: perché? Perché la gente rimane tutto il giorno davanti a un computer: non ha bisogno di un nuovo tipo di automobile, ha bisogno di un diverso tipo di software. Spot di IBM del 2000. Grazie a Giacomo Cariello per la segnalazione.

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